Aneddoto

Leggi di seguito la storia su "L'aneddoto"

Il distintivo del fascio con la sigla P.N.F. sull’occhiello della giacca, d’altronde, apriva la porta a occasioni di lavoro e di guadagno e a piccoli privilegi, a cui gli ennesi non intendevano rinunciare anche a costo di essere accusati di “pagnottismo”. Partecipare alle sfilate e ai riti del fascio, magari solo per far numero, era diventata una forma di promozione sociale celebrata in forma pubblica e solenne, ma anche un modo per sentirsi protagonisti delle trasformazioni sociali e dei destini della patria, insomma per volare metaforicamente in alto insieme agli eroi del tempo ed a Italo Balbo, che con i suoi idrovolanti aveva attraversato l’atlantico raggiungendo New York. L’umile Giuseppe di inizio secolo di Alessandria d’Egitto non riusciva a scordare l’arroganza dei governanti inglesi; tutti quei successi e primati italiani lo ripagavano, meglio di una vincita al lotto, dei piccoli torti allora subiti per mano della perfida Albione.

Furono, soprattutto, gli adolescenti e i giovani a subire questo innamoramento, che non li distolse dal coltivare nella gioia e in serenità i lati frivoli della vita, scambiandoli come generosi doni del regime. Un amico antifascista, che aveva trascorso diversi anni al ‘confino’, sul finire del 1937, come se lo volesse svegliare dal torpore, disse a Giuseppe tirandolo per la giacca:- “ Mi ero illuso che tu avessi capito. Mi accorgo, invece, che ti sei lasciato intrappolare e convincere come gli altri. Pur avendo tu intuito, a differenza di molti amici, che la cultura è lo strumento principale di liberazione e di emancipazione delle masse, con ciò dando concretezza al pensiero di un certo Gramsci, come un pecorone applaudi il regime che metterà, se già non lo ha fatto, la divisa ai tuoi figli per mandarli in una delle sue guerre, e che continuerà a usare il mordacchio sulla bocca dei giovani, anche di quelli istruiti, negandogli quella libertà per cui tu, se ricordo bene, ti sei sempre battuto. Perché li hai mandati a scuola, forse per farne dei burattini? Ti sei forse rimbambito? Ma non ti sei accorto che chi comandava prima, si è messo in divisa ed è tornato a comandare più di prima con il manganello e con l’olio di ricino?”

Giuseppe rivedeva i suoi trascorsi di contestatore a tempo pieno dei vecchi governi e tracciava un bilancio fra i successi e gli insuccessi governativi del passato e del presente. Alla fine, gli veniva facile e tranquillizzante dar credito alle informazioni “del tutto va bene” che ogni giorno gli piovevano addosso dalla ossessionante “grancassa” di regime, che con la sua stampa e con il cinema celebrava il pensiero unico e i suoi successi. Seppure dotato di senno e di talento, era diventato un uomo qualsiasi, una vittima, come altri milioni di italiani, della manipolazione culturale, quella stessa di oggi, che, avvalendosi dell’arma potente ed invasiva della televisione, può fare a meno della violenza e dell’olio di ricino.
Un fatto di cronaca assai divertente, coperto da assoluto riserbo, venne alla luce dopo la caduta del fascismo. In occasione della sua visita ad Enna, il duce volle gustare, su segnalazione del federale, uno speciale minestrone, piatto principe del ristorante gestito dalla famiglia Corso in un antico edificio del “Piano delle case grandi”. Il titolare ne fu informato e, lusingato per essere stato scelto fra i pochi ristoratori della zona, sin dalle prime ore del mattino aveva curato, previa analitica selezione, l’acquisto degli ortaggi. Dopo avere provveduto personalmente alla loro perfetta pulitura, aveva steso il tutto sul tavolo di lavoro, tagliandolo con precisione e diligenza chirurgica.

Aveva omesso, per la storica occasione, di delegare tali operazioni ai dipendenti per evitare che una loro svista potesse provocare che foglie marce o qualche verme finisse nel piatto del duce. Dosò come un alchimista ogni ingrediente e, con un sospiro di soddisfazione, pose la pentola sul fuoco. Iniziata la cottura, controllata a vista minuto per minuto, si era a metà percorso, allorquando nell’ampia cucina, priva di finestre, si fece buio. Era andata via la corrente elettrica fornita dalla centrale di via Pergusa, a causa dell’eccessivo consumo di energia per le migliaia di lampade collocate sui balconi, sulle finestre e nelle strade per illuminare lo storico avvenimento. Il gestore, decisamente contrariato, imprecando contro quella ‘disgrazia’, così la definì, riuscì a rimediare due lunghe candele. Le accese, ponendole su un armadietto sovrastante la pentola per un costante controllo della cottura. Tragicamente e improvvisamente, una candela precipitò tra i bollori del minestrone. Il titolare impallidì, rinnovò le imprecazioni contro quel sabotaggio del destino, pensò e ripensò come rimediare.

Alla fine, poiché i commensali erano già a tavola con le forchette in mano, decise di non rinunciare a quella speciale opportunità che gli consentiva di entrare nella storia locale, almeno in quella culinaria. Invitò i presenti a tenere il segreto e, coraggiosamente, immerse le dita nel bollente minestrone, pescando con abilità lo stoppino. Lasciò che la cera si sciogliesse nel minestrone, aggiunse del cognac e, dopo avere rimescolato, fece un assaggio. Alzò la testa e con serietà, soddisfatto disse:- “sapete che questo è il migliore minestrone di questo ristorante? Voglio intitolarlo al duce!”
Nacque, così, nell’Enna del 1937, il minestrone alla cera e al cognac, che il dittatore gustò con particolare piacere. Se non fosse stato per la candela e per l’ involontario attentato alla salute del duce, di quel ristorante ennese oggi, probabilmente, non ci sarebbe memoria.

tratto da ethosassociazione.it
http://www.ethosassociazione.it/enna_1937.htm

Menu