L’arancino

Leggi di seguito la storia su "L'arancino"

Quella mattina la città era avvolta nella nebbia. Miliardi di minuscole gocce di vapor d’acqua erano sospese nell’aria a nascondere case, strade, palazzi e le persone. La paisana era la migliore a mascherare il paese, cosi come era la migliore a suscitare in me il terrore che tutto era sparito, che era rimasta soltanto la finestra da cui guardavo quel nulla appannato, confuso, inumidito.

Mia madre prese una sciarpa ed un berretto di lana rossa, coprendomi con una fino al naso e con l’altro fino all’orlo delle sopracciglia cosicché, in mezzo ai vicoli di Fundrisi che comparivano poco a poco sotto ai miei passi, mi sentivo davvero una temeraria: camminavo nel nulla mentre respiravo male e quasi  non vedevo. Il senso confuso di quella realtà che si frapponeva alla nebbia sparì appena mia madre aprì la porta ed entrammo dentro la cucina del Ristorante.

Esisteva ancora … e dentro c’erano tutti: la nonna seduta tra i petali dei carciofi che le facevano da “contorno” ed uno ad uno, attraversando il suo grembiule bianco, cadevano per terra mentre lei sbucciava e cantava; gli zii facevano avanti e indietro fischiettando con le mani piene di bicchieri caldi e lucenti; il nonno con un grande mestolo mescolava il ragù ancora tiepido. Accanto alla casseruola del ragù borbottava una grande pentola di riso: “ Due litri e seicento ml di acqua per un chilo di riso, oppure cinque litri e duecento ml di acqua per due chili di riso. Accussi è! Senza scurdariti sale,dado o brodo di carne.

Quannu vuddi cci jetti lu zafferanu. La spezia d’oro. Pu cci cali u risu”.  Stava preparando le arancine e non era un caso che lo trovai a mescolare il suo ragù, la sua opera d’arte,  ù minzè speciale dell’arancina alla  carne. Appena si accorse che io avevo capito, con le sue parole cominciò  a trascinarmi verso la sua arte e partiva un viaggio alla scoperta di piccoli gesti e minuziosi  accorgimenti che ritrovavo alla fine, quando finalmente lo mangiavo.

Il procedimento era sempre molto calcolato e preciso. La domanda di rito era “nonno che stai facendo?”; sapevo che sarebbe partito il viaggio. Infatti: “Cumu cchi staju facinnu… l’arancini! Stamattina alle cinque ho preparato il ragù e adesso lo sto facendo raffreddare. (Racconto del vissuto di Anna Tinebra)

Menu